In attuazione della Legge 183/1989, l'Autorità di Bacino del fiume Po aveva approvato a fine ottobre 1994 un documento contenente iniziative urgenti di intervento per la difesa del suolo e l'assetto idrogeologico nel bacino del Po. Pochi giorni dopo l'approvazione si è verificata un'altra disastrosa alluvione, quella del novembre 1994. L'urgenza pertanto è diventata addirittura emergenza, determinando una intensificazione della attività di pianificazione da parte delle Autorità di Bacino fino a giungere alla definizione di un primo stralcio del Piano di Bacino. Uno strumento questo conoscitivo, normativo e tecnico-operativo previsto dalla citata legge, mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso delle fasce fluviali finalizzate da una parte alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo, dall'altra alla corretta gestione e utilizzazione delle risorse idriche.
Per capire di cosa si tratta esattamente, abbiamo intervistato l'ing. Raffaele Rocco, Dirigente del Servizio Assetto e Tutela del Territorio dell'Assessorato regionale dei Lavori Pubblici, che si è occupato del Piano per quel che concerne il tratto valdostano della Dora Baltea da Aymavilles a Pont-St-Martin.
Ing. Rocco, che cosa si intende in concreto per Piano Stralcio della fasce fluviali?
A seguito degli eventi sopra citati, l'Autorità del Bacino del Po ha ritenuto opportuno dare la precedenza alla parte relativa alla gestione delle acque, dando vita così al Piano Stralcio delle Fasce Fluviali sui corsi d'acqua principali del bacino idrografico del Po; "stralcio" dunque in duplice senso, ossia nei confronti del Piano generale e nei confronti delle parti di territorio di cui si occupa, quelle appunto di pertinenza fluviale. Il Piano Stralcio è il primo esempio del genere, che va a colmare un vuoto normativo evidente. Le leggi precedenti, infatti, non salvaguardavano mai aree intere, bensì si limitavano a tutelare le sponde, forse perché si dava per scontato il buon senso. Questo però è mancato, basti pensare all'espansione edilizia che ha interessato il nostro Paese dal dopo guerra fino agli anni '80. Ora invece l'intento è proprio quello di definire bene il territorio e tracciare i confini tra zona fluviale e zona antropizzata.
Come ci si deve porre di fronte all'eventualità di esondazioni di corsi d'acqua?
Quando ci si vuole difendere dalle alluvioni bisogna cercare di evitare di costringere, là dove possibile, il corso d'acqua in spazi ristretti con arginature. La possibilità più corretta resta quella di arginare quando necessario, ma lasciando al fiume un suo spazio, sue zone di esondazione e adattarsi di conseguenza. Ecco dunque che concretamente il piano prevede innanzitutto l'individuazione cartografica delle zone interessate e seguendo quindi il criterio sopra citato, si vanno a delimitare tre zone (vedi cartina). La prima, denominata alveo inciso, comprende la fascia del fiume in condizioni normali. La seconda comprende quelle parti di territorio interessate da piene gravi e la terza comprende le piene catastrofiche. Queste due ultime fasce sono contraddistinte dalle sigle Q200 e Q500 che stanno a significare l'entità della piena fissata col tempo di ritorno: più lungo è il tempo, maggiore è la gravità. Le unità di misura sono gli anni, per cui si tratta di un tempo di ritorno rispettivamente di 200 e di 500 anni. Queste due ultime fasce inoltre possono essere facilmente riconoscibili sulle mappe catastali, perché si possono notare i cambiamenti di confini di proprietà nel tempo, dovuti proprio ad un adattamento al corso d'acqua.
Cosa si deve fare, allora, una volta definite le fasce?
Chiaramente nell'alveo inciso non si deve fare nulla, mentre nelle altre fasce occorre tenere conto dei fattori rischio. Nella Q200 si potranno dunque costruire campi di calcio ma non di certo condomini o scuole. Nella Q500 invece si dovrà fare attenzione a non piazzare grossi serbatoi di carburante oppure di acido solforico, perché le conseguenze di un'eventuale esondazione sarebbero decisamente nocive. Ovviamente su quanto è già stato realizzato si può fare ben poco, ma può comunque essere utile sapere in quale fascia si trova un tale stabilimento o una tale costruzione, in modo da poter prevedere il rischio e quindi i danni di eventuali gravi alluvioni.
FINALITÀ DELLA LEGGE
La legge 18 maggio 1983, n. 183 ha lo scopo di assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi. Per il conseguimento di tali finalità viene previsto un organico sistema di soggetti, istituti e procedure di pianificazione e programmazione che concorrono ad unificare gli obiettivi, le metodologie e i criteri tecnici seguiti dai diversi enti titolari dei poteri di intervento sul territorio. Si intende così garantire, attraverso un'organica attività di programmazione, il superamento di logiche di intervento a carattere settoriale e congiunturale, frequentemente condizionate dall'esplosione di fenomeni critici che determinano, a loro volta, soluzioni improntate all'emergenza. La legge 183/89 interviene sul preesistente sistema dei poteri in materia di salvaguardia e governo del territorio ridisegnando il modello organizzativo dell'intervento pubblico a livello territoriale. Viene innanzitutto superata la dimensione amministrativa ormai consolidata quale ambito territoriale di riferimento attraverso l'istituzione dell'Autorità di bacino che opera dunque a livello di bacino idrografico. Tutte le problematiche legate alla salvaguardia del territorio ed alla corretta gestione delle sue risorse sono poi affrontate in una visione sistemica attraverso lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico operativo del Piano di bacino. Nel sistema di gerarchia delineato dalla legge, il Piano di bacino assume una posizione sovraordinata nei confronti di altri strumenti di pianificazione di settore, ponendosi come vincolo anche rispetto alla pianificazione urbanistica.