Quando si parla di "rischio" ciascuno immagina un evento che può coinvolgerlo personalmente, provocando un qualche danno fisico, emotivo, economico di intensità diversa, ma il cui livello è differente in rapporto alla tipologia dell'evento e alla situazione contingente in cui si trova in quello specifico momento.
Questa dimensione "soggettiva" del rischio comporta ad esempio l'uso dell'autovettura personale sia più accettata dell'aereo, anche se nel primo caso la probabilità di subire un incidente è oggettivamente molto maggiore che nel secondo. Il concetto di rischio nelle singole attività umane è quindi strettamente intrecciato con la condizione fisica, culturale ed emotiva, e la percezione stessa del rischio implica perciò una rilevante componente soggettiva.
Quando si tratta della gestione del territorio però non ci si può riferire a valutazioni soggettive, ma è necessario definire in modo scientifico il concetto di rischio per valutarlo in relazione ad eventi idraulici, quali la piena d'un corso d'acqua, ad una frana o ad una valanga; la valutazione del rischio infatti è utile per pianificare nel modo più efficace possibile l'impiego delle risorse umane e finanziare disponibili ai fini della prevenzione o minimizzazione dei danni. Lo schema qui a fianco, tratto dalla relazione del "Piano stralcio dell'assetto idrogeologico del bacino del Po", illustra la definizione scientifica di "rischio idrogeologico" e ne propone una classificazione in ragione della graduazione dei possibili effetti dell'evento calamitoso.
Come si può rilevare il rischio è un concetto statistico-probabilistico che sintetizza in un valore le componenti che istintivamente vengono tradizionalmente associate ad esso: la probabilità che l'evento si avveri, il valore dei beni che potrebbero essere interessati, l'entità del danno.
· L'evento che può provocare il danno viene rappresentato come probabilità che esso accada con una certa intensità in un certo arco di tempo: per esempio un corso d'acqua (sulla base di indagini statistiche e verifiche condotte nello stesso arco di tempo) può avere una portata di 1000 metri cubi al secondo una volta ogni cinquanta, cento, duecento anni;
· Il valore del bene che è coinvolto nell'evento;
· Il danno che può essere arrecato al bene dall'evento preso in considerazione: una portata di 1000 metri cubi può provocare l'allagamento di un terreno distruggendo le culture orticole che vi sono in atto, ma ad esempio non può arrecare danni a piante di alto fusto o ad edifici.
La determinazione di parametri numerici permette quindi di effettuare un calcolo matematico, il cui risultato è assunto come definizione del livello di rischio in relazione al particolare evento ipotizzato. Spesso per semplificare la valutazione si usano criteri sintetici, numericamente meno precisi ma in ogni caso adeguati agli scopi pianificatori per cui tali procedure sono previste.
La valutazione delle condizioni di rischio tiene quindi conto del rapporto che intercorre tra la vulnerabilità del territorio e le possibili forme di pericolo che su di esso incombono.
Per la pianificazione e la gestione del territorio è fondamentale acquisire la maggiore conoscenza possibile dei processi di natura geologica e della loro pericolosità nei confronti delle attività umane, nonché della vulnerabilità e della fragilità del territorio rispetto all'impatto antropico.
Diventa così possibile attuare un'efficace politica di interventi volti alla mitigazione dei rischi idrogeologici, potendo agire su due fronti: da un lato tentando di abbassare il livello di pericolosità del singolo fenomeno, dall'altro cercando di diminuire la vulnerabilità del territorio rispetto al medesimo fenomeno. Per esempio, si può intervenire rispetto al rischio di esondazione di una zona abitata sia attraverso opere di difesa idraulica, che tendano a contenere il corso d'acqua nel suo alveo; ma si può anche prevedere che le case siano costruite con il primo piano rialzato, in modo da limitare i danni alle persone e alle cose in caso di allagamento. L'azione preventiva è sicuramente da preferire a quella che avviene a posteriori, quando l'evento disastroso è accaduto: perché non solo si sono già avuti danni economici, ma soprattutto si possono essere perse delle vite umane.
L'attività di mitigazione dei rischi idrogeologici deve basarsi sull'individuazione dei livelli di garanzia e di protezione da conseguire, una volta fissata la soglia di rischio "ammissibile" stabilita per ciascuna attività antropica, e sulla definizione di una scala di priorità degli interventi che dovranno essere effettuati in ordine a tali garanzie.
E bene comunque precisare sempre che in rapporto ad uno specifico processo geologico e alla sua pericolosità, non è mai possibile ipotizzare l'annullamento del rischio connesso con esso; tutto ciò che l'uomo può tentare di fare è solo abbassare la probabilità che l'evento si verifichi o abbassare il danno che ad esso può conseguire.
L'unica politica attiva possibile è quella della mitigazione dei rischi, cioè dell'abbassamento della loro soglia; e l'alternativa è solo una politica di difesa passiva, cioè di non utilizzare in alcun modo l'area interessata dal fenomeno geologico considerato.
In ogni caso per tutti i fenomeni risulta fondamentale individuare le aree che possono essere interessate dall'evento calamitoso, di qualunque natura esso sia. A questo scopo vengono predisposte delle "cartografie del rischio" che sono il risultato dello studio delle correlazioni tra fenomeni fisici e cause dei dissesti.
LE TRE PRINCIPALI FONTI DI RISCHIO
Frane: la degradazione dei versanti è un fenomeno di instabilità geomorfologica, cioè un fenomeno connesso a forme di terreno che non sono in equilibrio statico o dinamico con l'ambiente naturale. Una frana per esempio, oltre alla sua pericolosità intrinseca, può ostruire temporaneamente l'alveo di un corso d'acqua o dare luogo ad accumuli di materiale incoerente che possono scaricarsi a valle in conseguenza di precipitazioni intense. Per mitigare le conseguenze di tale categoria di rischio occorrerà valutare l'inquadramento geologico del territorio, studiare le relazioni che intercorrono tra la geologia del sito e i fattori che determinano la frana stessa, monitorare il fenomeno e individuare le possibilità di interventi di sistemazione dei versanti.
Esondazioni: l'esondazione di un corso d'acqua si manifesta in dipendenza di fattori naturali o artificiali che interagiscono determinando l'impossibilità di smaltimento della eccessiva portata liquida. Per prevedere le situazioni critiche è fondamentale disporre di previsioni in tempo reale delle piene di un corso d'acqua, ottenibili per mezzo di sistemi di misura dei livelli idrometrici e dei volumi di pioggia caduti sul bacino afferente al corso d'acqua in esame. Risulta importante studiare la correlazione esistente tra i quantitativi di pioggia (che è il fattore che determina la piena) e la geometria del corso d'acqua. Di particolare importanza è inoltre la possibilità di previsione di piogge intense e di breve durata che dalla frana di Gotrousa (Frayan), possono interessare i bacini idrografici più piccoli, dove possono
innescarsi con tempi di preavviso brevissimi fenomeni improvvisi di trasporto di liquidi e soprattutto di materiali solidi (pietre, fango, tronchi divelti) altamente distruttivi.
Valanghe: le valanghe si presentano come distacchi di masse nevose da pendii ripidi o da bacini di accumulo di neve in quota, generati sia dal peso stesso della neve che dalla concomitanza di particolari condizioni meteorologiche (temperatura, vento, la stessa alternanza di variazioni di temperatura e di precipitazioni nevose, ecc.). Spesso, i rischi di valanghe insistono allo sbocco degli stessi valloni che a tarda estate o in autunno sono sottoposti a rischio di eventi legati alle piogge improvvise o prolungate (ondate di piena o colate di fango), determinando così veri e propri ambiti territoriali sottoposti a più tipi di rischio.