Nel quadro generale delle trasformazioni del paesaggio, (che anche quando veloci danno pur sempre all'uomo la possibilità di adattarsi alla nuova immagine) i grandi eventi calamitosi colpiscono il territorio come una scudisciata: rapidi, improvvisi, lasciano nel territorio un segno dolorante. L'immagine della Valle all'indomani dell'ultima alluvione è ancora nei nostri occhi: le zone pianeggianti trasformate in glairs, i cumuli di detriti riportati ovunque, i grandi morsi di erosione delle sponde mangiate dall'acqua a grandi bocconi, la distruzione di strade e ponti.
Ma quanto dura la memoria dell'evento?
A distanza di sei-sette anni le strade e i ponti sono stati risistemati, i prati sono stati spietrati e riseminati, la vegetazione è ricresciuta sulle sponde; i nuovi argini, più potenti e più continui dei precedenti, inducono un sentimento di assoluta sicurezza. Qualche anno ancora e il ricordo della catastrofe sarà archiviato del tutto, relegato nei bugigattoli della memoria in cui conserviamo alla rinfusa ricordi di scuola, visi di persone mai più incontrate, situazioni imbarazzanti e brutte figure. Già non se ne parla più (parlare di guai è sempre una conversazione di cattivo gusto, un segno di malaugurio); e istintivamente l'uomo rimuove dalla memoria fatti ed episodi spiacevoli, per esorcizzare la paura che ad essi si associa. Tanto più quando si tratta di costruire il ricordo sembra farsi annebbiato, o relegato in vecchie leggende, e comunque appartiene a storia d'altri tempi, che l'uomo d'oggi con la sua tecnica non ha più motivo di temere.
Il ricordo riaffiora però ogni qual volta la situazione si ripropone: allora, come se fosse caduto un tabù, le persone amano ricollegare i fatti ai ricordi d'infanzia, ai racconti del nonno, alle storie che la tradizione orale tramanda da una generazione all'altra. Ciò che nel primo momento di sbigottimento sembrava un fatto anomalo si rivela come elemento di una serie periodica - magari ogni venti, ogni cinquanta, ogni cento anni: quanto basta per averne "archiviato" il ricordo.
Ma a mantenere viva la nostra attenzione pensano mille piccoli e grandi segnali che la natura stessa o l'uomo hanno posto sul territorio, come monito perché impariamo a proteggerci dai rischi naturali: la stessa morfologia dei valloni, i segni di dilavamento lungo i canaloni dove le piogge improvvise si raccolgono, il cespuglieto privo di piante d'alto fusto sul passaggio della valanga, i grossi massi isolati in mezzo al prato che ci portano a frugare con lo sguardo per riconoscerne la provenienza; o ancora la posizione dei nuclei abitati antichi, sempre il più possibile al riparo dai rischi, o la collocazione delle cappelle, o le pareti cieche degli edifici, o le barriere contro le valanghe...
Saper leggere il paesaggio, in una regione in cui il rischio, più o meno elevato, è sempre potenzialmente presente, è sempre stato una condizione primaria di sopravvivenza per la gente della montagna; questa conoscenza deve quindi essere recuperata, se non vogliamo muoverci come degli estranei sul nostro stesso territorio.
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INSERTO: PAYSAGE NOTRE IMAGE