La Legge regionale 6 aprile 1998, n. 11, “Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d’Aosta” stabilisce che i Comuni devono individuare le aree a rischio di inondazioni, frane e valanghe, delimitandone il perimetro in apposite cartografie (le cosiddette cartografie degli ambiti inedificabili), che costituiscono parte integrante del piano regolatore.
La Valle d’Aosta aveva, già da tempo, una norma che prevedeva l’inedificabilità delle aree sedi di frane o di inondazioni, ma la legge regionale n. 11/1998 amplia le aree da perimetrare, richiedendo che siano delimitate non solo le aree già oggetto di fenomeni di dissesto, ma anche quelle per le quali esiste una propensione a tali condizioni.
Le aree sono quindi classificate secondo tre livelli di pericolosità (elevata, media e bassa) e per ciascuno di essi, in relazione al fenomeno idrogeologico che ne determina il livello di pericolo, sono individuati vincoli specifici all’edificazione. Si tratta di vincoli tali per cui alcune attività edilizie sono assolutamente vietate e altre sono ammesse con particolari condizioni.
Queste novità, comportando che l’intero territorio regionale sia classificato dal punto di vista della pericolosità idrogeologica, hanno posto il problema di come la pianificazione urbanistica dei Comuni dovesse recepire questa indicazione, non essendo ipotizzabile l’imposizione di un generico vincolo di inedificabilità, come accadeva con la normativa precedente.
Con l’approvazione delle cartografie degli ambiti, i vincoli all’edificazione diventano subito cogenti limitando così le possibilità edificatorie previste invece dal piano regolatore comunale, rendendo inedificabili aree per le quali, invece, il piano regolatore prevede una destinazione diversa.
Con la necessità di adeguare i piani regolatori comunali al Piano territoriale e paesistico, come stabilito dalla legge regionale n. 11/1998, si è quindi posta la questione di come le destinazioni urbanistiche delle diverse sotto zone dovessero indicare le attività ammesse o vietate laddove si sovrapponevano agli ambiti cosiddetti inedificabili.
La pianificazione urbanistica, così come intesa dalla legge regionale n. 11/98, richiede, infatti, che siano definite con precisione le sottozone e che per ciascuna di esse siano individuati gli interventi urbanistici ammissibili al loro interno.
Questa precisione e puntualità dello strumento urbanistico si scontra con la possibilità che alcuni interventi edilizi, normalmente non ammissibili in applicazione dei vincoli in aree a diversa pericolosità, possano essere resi ammissibili a determinate condizioni. Gli ambiti edificabili, così come previsti dalla normativa urbanistica, non sono d’altra parte uno strumento realizzato una volta per sempre, ma sono il frutto di un’attività di studio e di ricerca in continua evoluzione.
Gli ambiti inedificabili sono uno strumento dinamico, modificabile in relazione a nuovi eventi o alla possibilità di adottare modelli di studio del territorio più evoluti, che si contrappone allo strumento urbanistico, che invece nasce e si sviluppa per dare indicazioni sull’attività edilizia in un arco di tempo almeno decennale. Esiste d’altra parte l’esigenza che lo strumento urbanistico rappresenti fedelmente e puntualmente le possibilità edificatorie di ogni area in modo tale che il singolo cittadino sappia e conosca a priori quelle che sono le possibilità edilizie del proprio terreno.
Se da un lato, quindi, non sarebbe opportuno che l’individuazione delle destinazioni urbanistiche fosse strettamente dipendente dal livello di pericolosità, così come rappresentato dalle fotografie degli ambiti, bisogna però anche che questi ambiti introducano dei forti vincoli sull’attività edilizia nelle diverse sottozone.
Dinamicità delle cartografie degli ambiti inedificabili, esigenza di assoluta chiarezza con le possibilità edificatoria di ciascun terreno e necessità di dettare le norme di edificazione che non siano limitate ad ambiti temporali brevi hanno quindi richiesto che si trovasse un punto di equilibrio tra le diverse esigenze.
Viene quindi richiesto al professionista incaricato della redazione del piano regolatore di valutare nei diversi ambiti ad elevata e media pericolosità le destinazioni urbanistiche assolutamente vietate ai sensi della normativa e di indicare per tutti i terreni non ancora edificati al momento della predisposizione del piano regolatore un vincolo assoluto e definitivo di inedificabilità. Per tutti gli altri casi viene fatto presente che le possibilità edificatorie trovano un loro limite di esplicitazione nei vincoli della normativa degli ambiti inedificabili.
La valutazione, però, delle attività edilizie ammissibili richiede anche che, specie nelle zone ad elevata pericolosità, sia fatta particolare attenzione sulle tipologie edilizie ammissibili, in particolare per quanto riguarda gli ampliamenti di immobili esistenti, i cambiamenti di destinazione d’uso, gli interventi di ristrutturazione perché questi interventi devono tener conto del fatto che si sviluppano pur sempre in aree ad elevata pericolosità. In questi casi si richiede sia al professionista sia all’amministrazione comunale di valutare con attenzione l’assoluta necessità di alcune attività edilizie nelle aree a maggiore pericolosità e di cercare di escludere il più possibile la necessità di procedure di deroga. La normativa prevede, infatti, che per la salvaguardia di rilevanti interessi economico sociali siano comunque ammissibili interventi edilizi, altrimenti vietati, nelle aree a maggiore e media pericolosità idrogeologica attraverso una procedura specifica di deroga.
Uno degli scopi della pianificazione urbanistica, in relazione alle limitazioni derivanti dalla presenza di potenziali dissesti idrogeologici, non è quindi di acquisire in modo passivo il vincolo, bensì di valutare anche le attività ammissibili, o comunque che potrebbero esserlo a seguito di deroga, e la loro corretta localizzazione in relazione al vincolo presente di inedificabilità.
L’insediamento di attività all’interno delle aree ad elevata o media pericolosità, comporta infatti un aggravamento delle esigenze di protezione civile in capo al Comune, perché queste stesse attività vanno poi gestite quando si verifica un evento calamitoso.
Ecco quindi che il piano regolatore diventa lo strumento principale attraverso il quale il Comune può anche migliorare la situazione sul proprio territorio andando a modificare, laddove possibile, attività e insediamenti in modo, da garantire non solo una maggiore sicurezza dei cittadini, ma anche minori incombenze in caso di emergenza.
I piani regolatori fino ad ora esaminati dimostrano che il collegamento tra la conoscenza geologica rappresentata dalle cartografie degli ambiti e la pianificazione del territorio è limitato. In alcuni casi si è assistito ad una pianificazione urbanistica del tutto slegata dai vincoli derivanti dalla pericolosità idrogeologica, in altri casi sono stati evidenziati rapporti del tutto estemporanei, che denotavano chiaramente una sovrapposizione dell’attività vincolistica all’attività di pianificazione urbanistica.
La corretta pianificazione urbanistica non può prescindere dalla presenza di questi vincoli se intende svolgere appieno la propria funzione di strumento di regolazione e di distribuzione sul territorio delle attività e dei servizi di una Comunità.
La cartografia degli ambiti non inserisce un semplice vincolo positivo o negativo rispetto all’attività edilizia, ma costituisce uno degli strumenti attraverso il quale valutare lo sviluppo storico delle Comunità e delineare quello futuro secondo i principi di maggiore sostenibilità e integrazione con l’ambiente montano.