La storia della pianificazione urbanistica comunale in Valle d’Aosta è una storia di “fermati & riparti” (stop & go) caratterizzata da fasi di buona volontà alternate a brusche frenate. Per comprenderla meglio sembra opportuno ripercorrere i principali passaggi intervenuti dal dopo guerra. E’ quanto cercherò di fare pur sapendo di ometterne numerosi e di schematizzarli eccessivamente.
Una prima fase della pianificazione corrisponde alla legge regionale urbanistica n. 3 del 1960, legge all’avanguardia, in quanto coniugava lo sviluppo territoriale con la tutela del paesaggio, affossata però dalla Corte Costituzionale per motivi essenzialmente procedurali. Per contrastare gli effetti di detta sentenza la Regione adottò numerosi vincoli paesaggistici che comportarono l’abbandono dei princìpi della legge regionale del ’60 a favore del controllo dell’edilizia tramite l’istituto dell’autorizzazione, di competenza della Soprintendenza regionale.
Le successive fasi possono essere sintetizzate, tralasciando alcuni passaggi di minore importanza, in:
- definizione dei perimetri dei “centri abitati” ai sensi della legge 765/1967;
- prima stesura dei “Piani Regolatori Generali” (PRG) con riferimento allo“Schema di piano urbanistico e per la tutela del paesaggio” del 1972;
- seconda stesura dei PRG con riferimento al “Piano Territoriale Paesistico“(PTP) del 1998.
Questa breve relazione vuole sintetizzare aspetti, sensazioni, problemi, soluzioni riferibili alla stesura degli strumenti urbanistici senza esprimere giudizi assoluti ma piuttosto elencando, anche in modo non organico, quanto sia di un qualche interesse.
Definizione dei perimetri dei centri abitati
L’avvio concreto della pianificazione comunale fu promosso dalla legge “ponte” del 1967 che costringeva i Comuni a definire una prima regolamentazione del territorio appoggiata su nuove cartografie.
La legge urbanistica statale vigente (legge 1150/42) prevedeva la redazione di uno strumento urbanistico esteso alle sole parti urbanizzate del Comune. Le cartografie disponibili riguardavano pertanto aree limitate che si dovettero ampliare redigendo un nuovo supporto che rappresentasse il territorio comunale nel suo complesso. Divenne necessario assemblare e ritoccare artigianalmente, come un semplice “travet” in camice bianco o con le mezze maniche, tutte le tavole catastali.
La prima utilizzazione della nuova cartografia permise di definire i perimetri dei “centri abitati” ai sensi della legge 765/1967.
Si trattava di iniziare ad affrontare in quasi tutti i Comuni il tema della pianificazione urbanistica, anche se ancora all’acqua di rose. Le reazioni più marcate derivavano dal presupposto che “il terreno è mio e ci faccio quello che voglio io”. Per cercare di accontentare tutti, i Comuni optarono per perimetrazioni molto ampie, alcune fornite di estroflessioni che presero il nome, curioso ma significativo, di “peupe.”
In questo quadro di novità il progettista assumeva anche il ruolo di divulgatore che svolgeva opera di informazione e di convincimento a favore di amministratori comunali non informati a sufficienza.
I primi piani regolatori generali (PRG)
Alla pianificazione sommaria dei centri abitati fece seguito la redazione dei PRG veri e propri, in modo da dotare tutti i Comuni di uno strumento urbanistico completo.
Di fronte alla novità della pianificazione i Comuni sostennero a fondo i desideri della popolazione per cui, ad esempio:
- tutte le zone tendevano a essere rese edificabili;
- la viabilità era vasta, di tipo urbano con svincoli quasi autostradali;
- le aree a servizio previste superavano le necessità per soddisfare acriticamente i parametri di legge.
Ma quello che pesava di più sul piano delle scelte era costituito dalla carenza di indirizzi (si faceva riferimento allo “Schema di piano urbanistico e per la tutela del paesaggio“ del 1972 poi non approvato) a livello regionale o di Comunità montana tali da essere di supporto alle opzioni comunali.
D’altra parte i rapporti tra Regione e Comuni si riducevano in genere ai contatti con un solo ufficio dotato di pochi funzionari urbanisti. Con esclusione della Soprintendenza, rari erano i confronti con altri settori regionali.
Come nel caso della definizione dei centri abitati la rappresentazione del PRG avveniva in solo bianco e nero, compatibilmente con le macchine che permettevano la riproduzione su carta.
In sede progettuale un problema tecnico importante era rappresentato dal calcolo della dimensione delle aree, fossero zone urbanistiche o aree a servizio. Come nel caso dei centri abitati il dimensionamento delle zone sconta un certo livello di approssimazione causato dall’uso di una cartografia disegnata a mano e di uno strumento, pur esso manuale, utilizzato per il calcolo delle superfici, il “planimetro”.
Tutto considerato però il livello di definizione della cartografia era coerente con il grado di precisione richiesto, tenuto conto che si trattava di formulare un Piano Regolatore Generale che, come tale, rinviava a successive definizioni la propria attuazione.
Sul piano normativo era comune una resistenza preconcetta ad attuare i Piani generali tramite Piani Particolareggiati o di Dettaglio, cui si attribuiva l’intento di favorire le grandi società esterne a scapito dei piccoli proprietari locali. Lunghe discussioni avvenivano a tal proposito ma l’individualismo, ed a volte il ricordo di contrasti secolari tra vicini, facevano pendere la bilancia verso la realizzazione di autonome iniziative edilizie non coordinate tra di loro.
La seconda pianificazione
Il PTP e concomitanti scelte regionali introdussero nuovi concetti circa i contenuti ambientali e il contesto agricolo-forestale, non sufficientemente considerati nella prima fase di pianificazione. Non si trattava di definire solo l’assetto dei centri abitati, ignorando il territorio esterno non urbanizzato, ma le previsioni di Piano venivano a interessare tutto il Comune, quali che fossero le destinazioni d’uso. Ne conseguì, se pur ancora in fase di attuazione, una pianificazione tendenzialmente complessiva, con una visione unitaria del contesto.
La nuova stesura veniva sovente intesa dai Comuni quale occasione da non perdere per riformulare il Piano vigente e incrementare gli insediamenti relegando in seconda linea le necessarie scelte strategiche. Queste tardarono ad essere definite, soprattutto nei Comuni che impiegarono più anni ad operare le scelte necessarie (anche semplicemente l’incarico ad un professionista), con perdita della visione generale ed aumento dei tempi di esecuzione. La dilatazione dei tempi ed un processo progettuale del tipo “fermati & riparti” ha comportato, da parte di tutti, maggiori impegno e fatica oltre che più elevati costi fissi.
Gli incontri con l’Amministrazione regionale, pur essendo sempre corretti e collaborativi, sono stati accompagnati da una sensazione già provata ai tempi dell’università quando si era sottoposti ad esame. Da un rapporto alla pari, o almeno così percepito, tipico della prima pianificazione, si perveniva ad un confronto, in sede di conferenza dei servizi, che vedeva da un lato la piccola “pattuglia” dei tecnici comunali e dall’altro il “battaglione” di una ventina di funzionari e tecnici regionali . Si aveva la sensazione di essere sottoposti a una nuova sorta di esame. Si trattava solo di una sensazione ma tanto bastava.
Il confronto era reso più difficile dall’evoluzione della normativa applicabile, spesso emanazione della stessa Regione, la cui adozione comportava la modifica di molte impostazioni di lavoro che sembravano cristallizzate. L’ultimo esempio in questo senso è costituito dalle recenti varianti alla legge urbanistica 11/98.
L’uso del computer, reso necessario dalla relativa complessità della materia, comporta una serie di problemi:
- si afferma la tendenza a “spaccare il capello in quattro” favorita dalla capacità di questo strumento di individuare con grande precisione elementi puntuali della cartografia. Per ovviare agli effetti di un’inutile eccesso in alcuni casi sono stati definiti, nel Regolamento Edilizio, livelli diversi di approssimazione delle misure in funzione della tipologia degli interventi;
- ne consegue una normativa con prevalenza dell’aspetto “tecnico” (necessario per regolare i “diritti della proprietà” da definire rigidamente) in luogo dell’aspetto “politico-amministrativo” (utile per favorire le “scelte pianificatorie” per loro natura più elastiche);
- si sono dovute realizzare nuove stesure della cartografia di base per adeguarsi a nuovi tipi di proiezione geografica e per adottare il colore al fine di rendere più chiare le indicazioni grafiche.
Un’ulteriore difficoltà derivava dalla necessità di giovarsi di operatori adeguatamente istruiti e competenti oltre che capaci di utilizzare programmi adatti. Non sembri inoltre inopportuno rilevare un consumo di carta notevolmente superiore all’usuale.
La distinzione operata dal PTP tra “indirizzi” e”prescrizioni” è apparsa corretta pur rilevando tra Comuni e Regione difformità interpretative. La prescritta dotazione dei servizi risulta meno vincolante rispetto a quella prevista nella precedente prima fase di pianificazione. Il vincolo esercitato nei confronti di molte vecchie aree a servizi ha avuto però il merito di renderle disponibili e di consegnarle quasi intatte alla seconda fase di pianificazione.
Difformità interpretative sono state espresse anche da alcuni tecnici costituenti le commissioni comunali in ordine ai contenuti delle Norme di Attuazione del PRG attribuiti al “Regolamento Edilizio” (RE) e viceversa. In effetti esistono situazioni “di confine” ove non è facile distinguere tra le Norme di Attuazione di un PRG e un Regolamento che “regola” l’edificazione dei singoli edifici. In questo senso appare corretta la distinzione effettuata dalla Regione di prevedere un RE esterno al PRG.
Sono stati criticati i tempi lunghi impiegati dai professionisti per redigere i Piani. Oltre alla considerazione ovvia che ogni progettista aveva, ed ha, tutto l’interesse a concludere i lavori senza impiegare tempi biblici, si può rilevare che i tempi lunghi di elaborazione conseguono a ritardi nelle scelte amministrative, all’evoluzione contestuale di altri settori (agricoltura, sicurezza del territorio, ecc.) oppure ai cambiamenti imposti dai Comuni, specie dopo nuove elezioni.
All’inizio la nuova pianificazione non riscuoteva molto credito, tanto che numerosi Comuni attesero mesi e anni prima di affidare l’incarico di progettazione. D’altra parte anche politicamente il PTP non riscuoteva grandi adesioni e frequentemente si rincorrevano notizie di una imminente revisione sua e della legge 11/98. In questo clima di attesa si procedeva alla stesura delle sole tavole motivazionali e si effettuavano i primi incontri a carattere illustrativo.
Un po’ alla volta i PRG assunsero la loro conformazione definitiva a seguito dei ripensamenti generati sia dall’alluvione del 2000 con i relativi dissesti, sia dalla presa di coscienza dell’esigenza di coordinare tutte le iniziative di pianificazione elaborate dai diversi servizi regionali. Il PRG, che regolava un tempo solo il territorio urbanizzato, si è evoluto in uno strumento a tutto campo capace di coordinare tutte le iniziative coinvolgenti il territorio, sottoposte ai vincoli generati dagli ambiti inedificabili.
Le alterne vicende della pianificazione comunale hanno negli anni comportato una maggiore attenzione alla relativa problematica diventando fondamento di programmi elettorali o di attività delle amministrazioni o di gruppi sociali. Si è riscontrata una partecipazione alle scelte di carattere urbanistico un tempo impensabili. D’altro canto giovani amministratori si sono avvicinati alla problematica urbanistica con insufficienti conoscenze.
Nell’arco di mezzo secolo (si, cinquant’anni!) di storia urbanistica si è assistito allo sviluppo economico della nostra regione, con i Comuni come osservatorio privilegiato. Si sono visti ampi programmi di sviluppo svaniti nel nulla, promotori immobiliari disinvolti, amministrazioni sognatrici, insomma quanto da sempre è insito nello sviluppo del territorio.
Ma nello stesso tempo sono aumentati i rapporti tra Comuni vicini con la creazione di consorzi e di servizi comunitari, l’avvio di iniziative comuni, ecc.. Sono aumentate le conoscenze reciproche, si sono aggregati gruppi di cultura e di pressione in occasione di specifiche iniziative. Nel complesso è aumentato l’interesse verso progetti di crescita sociale e culturale.
Per quanto concerne i progettisti, la necessità di conoscere a fondo il territorio li ha obbligati a ripercorrerlo in lungo e in largo (chi poteva) in compagnia degli amministratori con i quali si aveva così l’occasione di approfondire molte tematiche. Inoltre la lunghezza delle riunioni, terminanti sovente alle ore piccole, ha favorito la conoscenza reciproca corroborata da un buon bicchiere di vino (astenersi astemi) bevuto al termine degli incontri.