QUALE FUTURO?
Partire dalla comprensione di modelli presenti nell'inconscio collettivo per provare a ripianificare gli spazi abitativi: una nuova ottica nella pianificazione.
SPAZIO E ORGANIZZAZIONE SOCIALE
di Stefania Lusito
Dall'analisi di circa 9000 fotografie inviate nel 1992 ad un concorso dal tema "Le paysage préféré des Français", il paesaggio immaginato come prediletto dai nostri vicini d'oltralpe è risultato in misura maggiore quello rurale e agropastorale, fatto di villaggi e campanili, buoi e prati verdeggianti. È senza dubbio un paesaggio tradizionale, stereotipato, ordinario, addomesticato: assenti il paesaggio urbano e le grandi opere architettoniche.
Françoise Dubost, docente di sociologia dell'arte, commenta i risultati interpretando i contenuti che sembrano emergere dall'inconscio collettivo: un legame ancora vivo con il passato e un sentimento d'angoscia provocato dall'accelerazione vissuta alla fine del ventesimo secolo - accelerazione che produce una diffusa paura di perdita culturale; questi sono gli aspetti che si intravedono più nitidamente.
Se si guarda alla composizione delle classi sociali che hanno partecipato al concorso, il maggior numero di fotografie del mondo contadino è pervenuto dalle classi medie, sostanzialmente quelle che sono più lontane dalla ruralità: il desiderio di possedere un legame con la realtà agropastorale non proviene dalla popolazione occupata a tempo pieno nell'agricoltura (che in Italia, ad esempio, è solo il 6%).
Sarebbe interessante confrontare le variazioni della percezione relative al paesaggio nelle diverse classi sociali. Le opinioni sono divergenti: c'è chi sostiene che le percezioni di esperti e gente comune alla fine convergano in una stessa direzione (lo confermano alcune indagini condotte dal paesaggista Michel Viollet a Mont-Saint-Michel). Altre ricerche fatte in Camargue dimostrano il contrario: un agricoltore, un ingegnere o un turista sembrano percepire il paesaggio in modi diversi; il paesaggio preferito dagli uni può non coincidere con quello preferito dagli altri.
Ma il paesaggio si organizza per mezzo degli strumenti di pianificazione; e la pianificazione richiede consenso. Come si può procedere allora nella ricerca del consenso per la progettazione del paesaggio?
In ogni caso, quel che emerge di interessante dalle analisi della Dubost è che il paesaggio tradizionale non è percepito solo come spazio produttivo, ma diventa bene simbolico, riferimento culturale collettivo, segno di comunione di intenti, di tempo libero e relax: è insomma un
paysage patrimoine
. La sociologa rileva che questa nuova domanda sociale, eterogenea e contraddittoria, a volte incentrata anche sul recupero di un'identità (e in questo senso il paesaggio è anche strumento di riconoscimento legato alla memoria) dovrebbe diventare oggetto di riflessione nei processi di pianificazione. Invece molto spesso gli architetti immaginano il
nuovo
- come riempire lo spazio - e al contrario i paesaggisti prediligono il
vuoto
- lo spazio aperto - valorizzando le operazioni che
tolgono
piuttosto che quelle che
aggiungono
.
Sarebbe interessante invece provare a partire dalla comprensione di questi modelli o archetipi presenti nell'inconscio collettivo per provare a ripianificare gli spazi abitativi, soprattutto nelle situazioni in cui ci sono state trasformazioni troppo veloci che gli abitanti non hanno potuto far propria come dato di coscienza e di memoria.
Due parole sui grandi assenti cui si è accennato sopra. L'antropologo e architetto Franco La Cecla sostiene che gli architetti moderni hanno progettato spesso opere monumentali, ma difficili da
vivere
(sculture piuttosto che architetture), ossessionati dall'immagine che avrebbero offerto e dal ritorno pubblicitario. Da un lato schiacciati dalle norme e dall'altro perseguendo una ricerca esasperata del sensazionale, hanno portato avanti, più che lo studio dell'esperienza spaziale, un'impostazione poco attenta e democratica verso i destinatari delle scelte progettuali. Non bisogna stupirsi dunque che queste grandi opere architettoniche non siano collegate a rappresentazioni positive negli immaginari dei cittadini francesi appartenenti alla classe media.
La stessa cosa vale per il paesaggio urbano. Quando nel 1728 viene redatto il "Plan des limites" - il nome è fortemente significativo - Parigi smette di essere quella serie di
arrondissements
in cui era facile perdersi per coloro che non conoscevano il luogo: per le guardie municipali e per gli esattori delle tasse diventa più facile orientarsi nei meandri di stradine, cortili e passaggi. Ma il nuovo tipo di orientamento non coincide con quello interno degli abitanti, ai quali vengono assegnati spazi che non possono più modellare e vivere a loro piacimento.
Orientarsi vuol dire sia ritrovarsi in un sistema di coordinate esistenti sia, nel suo significato più attivo, essere capaci di organizzarsi nell'ambiente, ancorare alla realtà circostante le proprie conoscenze. La Cecla riporta ancora che già negli anni venti alcuni missionari si erano accorti di quanto le organizzazioni spaziale, sociale e mentale fossero interdipendenti: per sottomettere definitivamente gli indiani Bororo dell'Amazzonia era stato sufficiente riorganizzare gli spazi dei loro villaggi. La suddivisione tra clan era riprodotta, prima dell'arrivo dei missionari, nel posizionamento a semicerchio delle abitazioni. Distruggere e ricostruire le capanne in file parallele fece sì che gli indios in poco tempo dimenticassero come erano posizionati in precedenza e, non trovando appigli per le loro conoscenze, iniziassero a confondersi: mancava loro l'appoggio spaziale del sistema culturale.
La pianificazione nei luoghi di montagna, dove abbondano elementi di orientamento, dovrebbe forse tenere in maggiore considerazione la relazione esistente tra gli elementi del paesaggio e quelli culturali, pena il conseguente smarrimento identitario e spaziale.
Indicazioni bibliografiche
F. Dubost, L. Clergues, Mon paysage. Le paysage préféré des Français, 1995
F. La Cecla, Mente locale. Per un'antropologia dell'abitare, 1993
F. La Cecla, Perdersi. L'uomo senza ambiente, 2000
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